Francesco Pigliaru, "Brevi note su una sconfitta apparente"

Facoltà di Economia, "In ricordo di Sebastiano Brusco", Modena 29 maggio 2002

Ho discusso il contenuto di questa nota soprattutto con Pietro Maurandi, Monica
Pilloni, Sergio Russo e Paolo Sestu, tutti presenti con me nel C.d.A. del Banco di
Sardegna presieduto da Sebastiano Brusco tra il 1998 e il 2001. Spero che il mio
testo rifletta il punto di vista comune sviluppato in lunghe discussioni nel corso di
questi anni. Ho inoltre avuto l’occasione di parlare con numerosi funzionari e
dirigenti del Banco, con dirigenti sindacali e con amministratori della Fondazione
Banco di Sardegna. Tutti hanno mostrato una grande disponibilità, fornendo punti
di vista preziosi su vari aspetti toccati nella mia ricostruzione. A tutti un sincero
ringraziamento.

Introduzione

Sconfitta è una parola forse eccessiva, ma non si può fare a meno di usarla nell’organizzare queste brevi note. Sebastiano l’avrebbe certamente usata, e ancora oggi si interrogherebbe con serenità e profondità su eventi ed esiti della sua vicenda bancaria.
E’ necessario chiedersi, per iniziare: di che sconfitta parliamo? Conviene essere subito chiari: parliamo della sua non riconferma come presidente del Banco di Sardegna; l’unica sconfitta che – a quel che mi risulta – lui fosse disposto ad ammettere.
Cosa ha causato questa sconfitta?
Non sono sicuro di saper dare una risposta, oggi. Cercare la risposta è però il modo migliore per rimettere insieme con ordine i pezzi di questa storia, per iniziare a chiarire in quale contesto Sebastiano ha svolto il suo nuovo lavoro.
(La mia testimonianza sarà necessariamente limitata. Non credo che il mio vantaggio comparato stia nel collegare l’esperienza di Sebastiano al Banco al suo modo di interpretare, con evidente e riconosciuta originalità, il mestiere di economista. Credo invece che il mio vantaggio comparato abbia una natura casuale. Mi è capitato di essere testimone di una vicenda importante e recentissima nella vita di Sebastiano, e dunque di poter mettere in fila i fatti con l’aiuto di altri testimoni. Cercherò di fornire elementi che potranno forse essere utili a coloro che, in futuro, vorranno rileggere questa esperienza nel quadro più generale del lavoro intellettuale di Sebastiano)

Propositi

Non sono in grado di dire come si arrivò a nominare Sebastiano presidente del BdS nell’estate del 1998. La temporanea difficoltà in cui si trovava la peggior politica locale deve aver dato un contributo non piccolo. So perché fu scelto: il suo prestigio di economista attento ai problemi dello sviluppo e la sua conoscenza della economia e della società sarde sono gli elementi che, in quel particolare contesto, svolsero un ruolo decisivo.
Quando Sebastiano arrivò a Sassari nella sua nuova funzione, era consapevole di un problema che emerge continuamente nella letteratura sullo sviluppo economico.
“Come nascono le coalizioni per lo sviluppo?” Sappiamo bene come non nascono: l’intera letteratura su Political Economy lo spiega. In presenza di agenti eterogenei, interessi particolari possono rendere difficile adottare le azioni che massimizzano il benessere aggregato.
Dunque, il primo compito di chi vuole perseguire il risultato ottimale è quello di individuare gli inevitabili interessi contrapposti e le forze che è possibile combinare per raggiungere il fine che si ha in mente.
Il fine, intanto. Sebastiano era convinto di dover lavorare per ottenere una Banca locale, autonoma ed efficiente.
Autonoma dal punto di vista gestionale, cioè non controllata direttamente da un partner di dimensioni più grandi. La ragione è ovvia: poteva Sebastiano non credere nel valore aggiunto della conoscenza locale, specifica? Ragionevolmente, pensava che questo tipo di conoscenza non fosse il core-business di banche di dimensioni nazionali.
Ragionevolmente, si rendeva però anche conto (e si rese sempre più conto) che le banche locali diventano spesso facili prede di interessi particolari; possono essere terribilmente inefficienti e poco trasparenti.
Questo è il trade-off di cui abbiamo dovuto discutere sempre piu’ spesso nel CdA, col passare del tempo. In teoria, l’ottimo per una regione in ritardo è una banca locale efficiente, federata con altre per sfruttare le economie di scala presenti in alcune dimensioni dell’attività. Una banca di questo tipo conosce meglio la realtà nella quale agisce e fa buon uso di questo vantaggio informativo.
Tuttavia, nell’opinione di molti esiste nei fatti uno scambio tra “locale” ed “efficiente”; in questo scambio, “locale” significa inefficiente: soprattutto, una inefficienza che tende a favorire interessi incompatibili con una buona gestione e che impedisce lo sfruttamento virtuoso del vantaggio informativo potenziale.
Sebastiano era consapevole del rischio di questo trade-off, ma era determinato a non considerarlo inevitabile. La sua coalizione per lo sviluppo andava costruita intorno all’obiettivo più ambizioso, il suo first best: una banca locale, nel senso di autonoma ed efficiente.
Come ottenere questo fine?
Primo, efficienza. A che punto era il Banco, come migliorarne l’efficienza? Secondo, autonomia. Quale modello di privatizzazione privilegiare, come definire un percorso capace di garantirne l’autonomia gestionale?
Ragionando su questi due punti, Sebastiano si trovò presto di fronte ai due problemi ai quali dovette dedicare gran parte del suo lavoro.

Difficoltà

Prima difficoltà (efficienza). Qual era la reale situazione economica del BdS nel momento in cui Sebastiano diventò presidente? Capirlo prese più tempo del previsto. Un Gruppo di oltre 4000 addetti è un organismo complesso.
Sebastiano Diventò presidente in un contesto di quasi totale rinnovo delle cariche amministrative, sia sul lato dell’azionista (la Fondazione BdS), sia su quello del CdA da lui presieduto. La storia e la situazione del Banco andava dunque ricostruita in coincidenza con una profonda ed ampia rottura di continuità negli organismi con i quali si sarebbe svolto gran parte del suo lavoro.
In questa profonda e particolare asimmetria di informazione, il ruolo del management diventa essenziale. Ma anche su questo lato le cose non erano semplici. Ovvi e comprensibili istinti di conservazione interferiscono sui tempi, sulla selezione e in generale sulla qualità delle informazioni che arrivano ai nuovi amministratori.
La reale situazione del Banco si precisò infatti con l’emergere lento di dettagli raramente positivi.
In mezzo a queste difficoltà, Sebastiano fu comunque coerente nella sua azione. Come vedremo meglio tra poco, decise di ricercare i necessari guadagni di efficienza – qualunque fosse il loro ordine di grandezza – soprattutto attraverso l’elaborazione di regole trasparenti condivise da dipendenti, dirigenti, amministratori. Regole capaci creare un clima favorevole ad accelerare l’acquisizione delle competenze necessarie a trasformare il Banco in azienda efficiente e moderna. Dunque, formazione continua per acquisire competenze, e regole premianti per valorizzare quelle già presenti.
Seconda difficoltà (prospettive di autonomia). Raggiungere una autonomia virtuosa richiedeva idee precise sul modello di privatizzazione da adottare. Ogni modello di privatizzazione modifica importanti equilibri, determina allocazioni di potere e di controllo inevitabilmente diverse da quelle di partenza. Senza idee chiare non si governa un processo così delicato.
Una ovvia regola di governance assegna alle Fondazioni il compito di disegnare il percorso della privatizzazione degli istituti di credito controllati. A torto o a ragione, Sebastiano si convinse presto di dover violare in parte questa regola, data l’eccezionalità della situazione. Due motivi stavano alla base della sua convinzione: la certezza che la trasformazione aziendale del Banco e la sua privatizzazione non fossero processi tra loro indipendenti, nella sostanza delle cose e nei vincoli temporali dati; e la sensazione che facesse fatica ad emergere, anche dentro la Fondazione, un modello di privatizzazione credibile e coerente con l’obiettivo di una autonomia efficiente.
Per la verità, l’elaborazione di un modello coerente non era un compito semplice: né da un punto di vista puramente concettuale (sui dettagli della sua proposta tornerò tra poco), né dal punto di vista della creazione di un consenso sufficiente a renderlo adottabile.
All’esterno, Sebastiano non poteva dare per scontato il consenso al suo progetto di massima da parte dell’organo di vigilanza, che sembrava anzi credere nell’esistenza – soprattutto al Sud – di un frequente, netto trade-off tra autonomia ed efficienza.
All’interno della regione, molti sembravano condividere l’idea di una banca autonoma e persino efficiente; tuttavia, questo sostegno riguardava una prospettiva ancora molto vaga; inoltre, in questo sostegno c’era un’enfasi che, per antica tradizione regionale, tendeva a cadere pericolosamente sul primo dei due termini. “Autonomia” in Sardegna è spesso l’alibi utilizzato per dare una vernice di apparente universalità a interessi particolari, per proteggere scelte pubbliche e posizioni private di privilegio che non sopravvivrebbero in una società meno chiusa al giudizio esterno.
Così, non pochi sembravano sperare che, dopo qualche auspicato scossone nel vecchio management e qualche guadagno di efficienza, si tornasse a “su connottu”: una banca poco trasparente nel suo operare, sensibile alle istanze del “malinteso localismo”.
Nell’affrontare queste due difficoltà, Sebastiano capì che non esisteva una “coalizione per lo sviluppo” abbastanza forte da sostenerlo nella direzione che aveva scelto.
Essendo una persona profondamente indipendente, non un politico alla ricerca di facili conferme nel mercatino delle nomine, cercò di creare consenso attraverso l’elaborazione e la proposta di progetti chiari e dettagliati.
Azioni

Il risanamento dei conti
Il CdA presieduto da Sebastiano si insediò nel settembre del 1998; il primo compito fu di approvare la semestrale impostata dal precedente consiglio. Questa semestrale mostrava un attivo di 22 miliardi di lire. Le cose cambiarono subito. Nelle parole di Sebastiano, “Il bilancio del 1998 … si chiuse in modo assai diverso da ciò che il bilancio semestrale lasciava prevedere e mostrò una perdita di 128 miliardi”. Un accurato lavoro di indagine aveva suggerito di accantonare 300 miliardi.
Non fu che l’inizio. Citando ancora Sebastiano, infatti,
“Sin dal settembre 1998 … l’attuale Consiglio di amministrazione ha ritenuto opportuno che i conti del Banco fossero improntati alla più puntigliosa prudenza.
In questa ottica sono stati riesaminati tutti i crediti. A seguito di questo esame, i crediti classificati a sofferenza sono passati da 807 miliardi a 1.533 miliardi. La quota delle sofferenze sul totale degli impieghi è variata dal 7% al 14% . Le posizioni classificate a sofferenza dal principio del 1998 alla fine del 2000 ammontano a 869 miliardi e rappresentano quasi la metà delle sofferenze al 31 dicembre 2000. Di queste posizioni, il 76,5% (che corrispondono a 665 miliardi) hanno avuto il primo affidamento entro l’anno 1994.
Gli accantonamenti previsti dalla semestrale del giugno del 1998 erano pari al 29% dei crediti in sofferenza. Gli accantonamenti previsti dal bilancio del dicembre del 2000 rappresentano il 55% dei crediti in sofferenza alla stessa data.
I tre bilanci di cui l’attuale Consiglio è responsabile rappresentano in sostanza tre tappe di un unico processo, coerentemente portato avanti per tutto il periodo. Oggi tutte le sacche di incertezza presenti nel bilancio del Banco sono state bene identificate e ben presidiate.“
Questi dati dovrebbero essere letti con attenzione e conosciuti in dettaglio da chiunque voglia farsi un’idea del lavoro svolto da Sebastiano (e dal suo Consiglio) per risanare i conti dell’azienda in meno di tre anni. Circa mille miliardi di accantonamenti hanno lasciato poco spazio e poche risorse per altre, meno drammatiche (e certo meno urgenti) iniziative.
Come è noto, gli ispettori della Banca d’Italia considerarono comunque inadeguato alla drammaticità della situazione il percorso di risanamento proposto e in parte attuato da Sebastiano. L’ispezione iniziò nel maggio del 2000 e si concluse quattro mesi dopo. [v. nota]
Gli ispettori chiesero una accelerazione del processo di risanamento, nella stessa direzione voluta da Sebastiano, ma certo con un ritmo ed una intensità significativamente maggiori.
Sebastiano pensava di poter avere più tempo, di poter spalmare i necessari accantonamenti su più bilanci, in modo da avere qualche grado di libertà nella scelta dei modi e dei tempi (era convinto che la situazione fosse molto difficile ma non drammatica).
La caratteristica dell’azione di Sebastiano (e la spiegazione dei suoi tempi) è nel tentativo di tenere insieme la necessità di un profondo risanamento con quella di creare un ampio consenso all’interno dell’azienda, per minimizzare i traumi e facilitare i necessari processi innovativi.
Sebastiano era profondamente convinto che la strada da lui scelta fosse percorribile fino in fondo.
Ancora oggi non so quanto avesse ragione su questo punto; è possibile che in tutti noi ci sia stata nella prima fase una limitata ma non trascurabile difficoltà a cogliere per intero il grado di “criticità” raggiunto dal gruppo al momento del nostro insediamento, e i gradi di copertura adeguati a fronteggiare la situazione.
Ciò detto, Sebastiano aveva comunque una idea precisa di quale sarebbe stata l’evoluzione dei conti del Banco alla fine dell’emergenza. In più di una occasione, anche nell’aprile del 2001, Sebastiano scrisse che, dato il grado di risanamento dei conti raggiunto attraverso un lungo periodo di eccezionali accantonamenti, il bilancio del 2001 avrebbe fatto emergere importanti utili.
Il bilancio del 2001 del Banco ha chiuso con un utile netto pari a 54 milioni di Euro e un ROE dell’11%.
Il miglioramento del clima aziendale
Le persone con cui ho parlato condividono l’opinione che l’azione di Sebastiano fu efficace nel ricostruire un clima aziendale accettabile. Come ho sostenuto, migliorare il clima aziendale era per lui la condizione necessaria per aumentare l’efficienza dell’azienda, per rendere possibile l’adozione delle molte innovazioni necessarie nei prodotti come nei processi. (E’ facile riconoscere in questo approccio la sua compatibilità con la letteratura su efficiency wages, nella versione meno “neoclassica” di George Akerlof -- un riferimento, questo, che non so quanto Sebastiano avrebbe apprezzato).
Elemento essenziale di questa sua azione era l’esporsi in prima persona, il farsi conoscere, l’attenta costruzione di rapporti di fiducia. Ricorda oggi il Direttore Generale che Sebastiano puntava a “far lavorare in squadra il management e [a] coinvolgere tutto il personale con lavoro tenace e con l’esempio”.
Elencherò tra un attimo quali iniziative sono state adottate, e quali sono ancora oggi ritenute importanti dai “testimoni privilegiati” con cui ho parlato.
Prima va citato un fatto che, all’inizio della sua presidenza, generò disorientamento in coloro che avevano contribuito alla sua nomina e fra molti dipendenti del Banco. Appena arrivato Sebastiano subì forti pressioni, quasi un mandato, affinché cambiasse molto rapidamente almeno il Direttore Generale, per segnare la discontinuità con la gestione precedente. Non lo fece. Si convinse che la soluzione suggerita era semplicistica e in parte anche sospetta. Come avrebbe potuto cambiare persone in ruoli così importanti, prima di essersi fatto un’idea appena decente della situazione, prima di aver individuato alternative valide, adeguate?
Inoltre, credo che Sebastiano fosse intimamente convinto che il cambiamento del clima aziendale, e il suo impegno in prima persona, avrebbero fornito a tutti (alti dirigenti inclusi) la possibilità di contribuire positivamente ad un progetto condiviso, indipendentemente dalle loro precedenti performance.
Amava ripetere: “io non sono un tagliatore di teste”.
Un anno dopo il Banco aveva un nuovo Direttore, scelto in piena indipendenza da Sebastiano e dal CdA.
In quella vicenda, molti capirono di avere a che fare con una persona indipendente. Non tutti furono contenti di questa scoperta.
Ciò ricordato, le principali azioni di Sebastiano, in stretta collaborazione con il nuovo Direttore Generale, furono la riorganizzazione della rete nel territorio, finalizzata ad attribuire una maggiore autonomia decisionale a chi opera a contatto con la clientela; il potenziamento della formazione e suo collegamento a percorsi di carriera definiti con chiarezza e trasparenza; l’introduzione di sistemi incentivanti rivolti a squadre di addetti commerciali e a squadre di settoristi; la predisposizione di un progetto di sistema di incentivazione per il personale della Direzione generale; l’intervento sul sistema informativo, con l’adozione di procedure di scoring per i piccoli crediti agli operatori economici, che aumentano l’efficienza, sollecitano la crescita professionale e la coerenza dei comportamenti all’interno dell’Istituto; l’istituzione di appositi uffici dedicati alla programmazione negoziata ed al project financing, settori nei quali il Banco era completamente assente.
Altre iniziative, predisposte e approvate dal CdA, non videro la luce a causa della difficoltà di allineare i tempi del piano di risanamento con quelli del processo di privatizzazione, in presenza, per di più, della lunga attività ispettiva dell’organo di vigilanza.
Modello di privatizzazione
Sebastiano cercò da subito un dialogo costruttivo con l’azionista a proposito di quale fosse il modello ottimale di privatizzazione. Il dialogo fu tutt’altro che facile. Le posizioni interne alla Fondazione riflettevano incertezze molto diffuse negli ambienti isolani interessati (per i più vari motivi) ai destini della più importante azienda sarda.
Tale incertezza si traduceva nella palese difficoltà a rendere esplicito un percorso di privatizzazione sufficientemente definito nei suoi passaggi essenziali, sia immediati che futuri. Di fatto, il processo andava avanti lentamente, cullandosi forse nell’illusione che fosse possibile gestire la situazione rinviando a momenti successivi la inevitabile scelta di fondo (prospettiva autonoma o cessione del controllo ad un partner bancario di maggiori dimensioni).
Ad un certo momento, Sebastiano ebbe probabilmente un ruolo nel favorire l’acquisto del 20% del capitale da parte della BPER, un partner che per vari motivi riteneva più adeguato di altri a garantire una prospettiva di autonomia efficiente.
Nell’ottobre del 2000, poche settimane prima della comunicazione da parte di Banca Italia dei risultati dell’ispezione, Sebastiano scrisse, distribuì e cercò consenso su un documento che mirava a rilanciare la prospettiva di una privatizzazione senza perdita di autonomia. In questo documento si fece carico di indicare in grande dettaglio ogni tappa del percorso individuato, consapevole che questo era il solo modo per guadagnare credibilità nei confronti del mercato, dei potenziali partners e dell’autorità di vigilanza. Scriveva Sebastiano, dopo l’ingresso della BPER, nell’ottobre del 2000:
"Gli obiettivi e il percorso della privatizzazione dovranno risultare espliciti nel piano, con riferimento sia alle modalità sia ai tempi di attuazione. Ciò per consentire di rimuovere l’opinione che il Banco non sia nelle condizioni di operare in autonomia. Tale opinione ha potuto diffondersi nell’ambiente regionale e forse nella stessa Banca d’Italia anche a causa dell’insufficienza di informazioni sul progetto di privatizzazione, contrapposta al clamore suscitato sulla vicenda da taluni esponenti, politici e non, della Regione."
Questo scritto è, credo, il punto massimo della elaborazione di Sebastiano intorno ai problemi dell’azienda. Nel leggerlo oggi, colpisce la complessità di un documento prodotto in così poco tempo, partendo da competenze così distanti da quelle che ne reggono l’argomentazione.
La proposta di Sebastiano si basava su due pilastri: primo, la costituzione di un “sindacato di controllo” costituito dalla stessa Fondazione, dalla BPER e da un terzo partner non bancario. Questo pilastro avrebbe dovuto garantire l’autonomia gestionale di una banca ancora essenzialmente locale, “radicata nel territorio”.
Il secondo pilastro era rappresentato – molto significativamente – dalla enfasi assegnata al ruolo disciplinante che avrebbe dovuto svolgere il mercato, così da incentivare scelte efficienti da parte del management. Aggiungere questo secondo pilastro richiese lunghe discussioni, grande apertura mentale, forse anche il dover affrontare a viso aperto qualche antico credo (giovanile?). Ma di questo pilastro era alla fine fortemente convinto, come è evidente in questo passaggio:
"La quotazione in borsa sottoporrà alla disciplina del mercato gli amministratori ed il management del Banco. Se il Banco produrrà profitti, il sindacato di controllo tenderà ad essere stabile, e così la direzione del Banco. Se incompetenza o interferenze di vario genere impediranno di raggiungere l’efficienza, il fatto che il Banco sia contendibile aprirà le strade a cambiamenti e correzioni di rotta."
Autonomia con efficienza, dunque, come prima opzione.

Conclusione
Tutti noi sappiamo che si sarebbe potuto fare di più e meglio; lo sapeva anche Sebastiano, naturalmente. Non tutti condividevano il suo inesauribile ”ottimismo della volontà” applicato alla valutazione della situazione aziendale; percepivamo di trovarci di fronte non solo ad un problema di competenze mancanti, di arretratezza culturale, ma anche di interessi precisi che da quella inefficienza traevano vantaggi. Talvolta avremmo preferito un Sebastiano propenso a qualche azione da “tagliatore di teste”, con cui accelerare il rinnovamento della dirigenza.
Per alcuni di noi, i toni scuri del verbale ispettivo della Banca d’Italia confermarono, nel novembre del 2000, alcune di queste convinzioni.
Per Sebastiano quei toni erano comunque eccessivamente scuri. Lui era convinto di aver raggiunto una buona conoscenza del funzionamento della macchina, di averla sotto controllo. Durante la sua presidenza aveva solo chiesto tempi meno brevi per aggiustare i meccanismi inceppati, per dare nuove opportunità creando fiducia, non traumi.
Il tempo è stata la vera risorsa scarsa di questa vicenda. Il tempo non c’era; o meglio, quello che c’era fu spesso sprecato. Ogni volta, pressioni forti spingevano per rinviare le decisioni, anche quelle cruciali e urgenti. La politica segue spesso una legge semplice, dalle mie parti: rimandare le decisioni, lasciare tutte le opzioni aperte, nella speranza di diventare prima o poi gli arbitri della scelta.
Con questa politica Sebastiano ha dovuto fare i conti: dentro il Banco, nel confronto con l’azionista, nei contatti con le istituzioni locali e con i partiti, nei continui attacchi che trovavano immediata e rumorosa ospitalità nei mezzi di informazione regionali.
Qualcuno ha detto: “Sebastiano è stato riconosciuto più in fretta dagli avversari che dai potenziali sostenitori”. Le azioni degli avversari hanno reso ancora più breve il poco tempo a sua disposizione.
Sebastiano ha lavorato per rendere concreta la prospettiva per la quale era stato nominato. Non è riuscito a raggiungere il risultato che riteneva ottimale. Non essendo un ingenuo, conosceva la teoria del second best e aveva lavorato con impegno anche in quella direzione. Nel suo ultimo documento, successivo all’acquisizione del controllo da parte della BPER, si legge:
"Sinora il nuovo socio … ha lasciato libertà di decisione agli amministratori del Banco. … Questo alto livello di autonomia (che certo non sarà di ostacolo alla ricerca di sinergie) sarà tanto più garantito se il bilancio dell’anno 2001 mostrerà segni di netta ripresa."
L’intero lavoro di Sebastiano al Banco è stato caratterizzato da coerenza, coraggio e indipendenza, senza cedere alla tentazione di gestire il suo potere in funzione della sua riconferma, che pure si annunciava sempre più difficile. Ha detto un suo stretto collaboratore:
"Certo, tutto è più facile per coloro per i quali l’amministrazione del Banco è solo una questione di potere per piccoli favori. In questo caso non esistono conflitti. L’integrazione con l’ambiente, e quindi la funzionalità al sottosviluppo, è totale."
Conoscere Sebastiano, vedere lo svolgersi del suo lavoro, esporsi al suo avvolgente affetto e altruismo, è stata una esperienza che ha colpito nel profondo tutti coloro che in questi giorni hanno voluto condividere con chi scrive valutazioni e ricordi.
Per molti di noi, lavorare con Sebastiano è stato un vero privilegio. Lo è stato far parte di un laboratorio che non sarebbe mai esistito senza la personalità di Sebastiano, formato da persone
"prive di finalità personali o di bottega o di parte, un gruppo di persone per bene come lui, interessate come lui a fare un’esperienza umana e professionale." (Pietro Maturandi).
E’ stato un privilegio prendere le decisioni più importanti con un grado di indipendenza alto e raro; lo è stato partecipare alla elaborazione di idee e proposte al riparo da condizionamenti impropri; lo è stato vedere Sebastiano lavorare con passione, competenza e creatività in ogni momento della nostra vicenda, anche nei peggiori momenti della sua malattia (il cellulare sempre acceso), alla quale faceva cenno ogni tanto quasi per caso, con stupefacente distacco.
Nel poco tempo a sua disposizione, Sebastiano scelse di lavorare dentro il Banco, sui problemi urgenti dell’azienda e sulle scelte strategiche, e di occuparsi poco o niente delle sue prospettive personali. Alla fine del mandato, era profondamente convinto di aver meritato la conferma alla presidenza del Banco.
Nessuno oggi dubita che il contributo di Sebastiano sia stato importante nel miglioramento dei conti del Banco. La spiegazione della sua mancata riconferma si perde nei confusi meandri di una governance che fatica a regolare con efficacia i rapporti tra politica, istituzioni e aziende non ancora interamente privatizzate.
Faccio, facciamo fatica a considerare questa non riconferma come una vera sconfitta. Spero e credo che a questa conclusione sia arrivato anche Sebastiano.
Nota: Il ruolo svolto dall’ispezione della Banca d’Italia nella vicenda del Banco di Sardegna è complesso e non può essere affrontato compiutamente in questo intervento. Nell’opinione di molti, l’ispezione fu particolarmente severa; nell’opinione di Sebastiano, fu ingiustificatamente severa (riteneva che tra i motivi di tale severità ci fosse anche l’obiettivo di rinforzare, tra le varie opzioni, quella che prevedeva l’entrata di un partner bancario di rilievo nell’azionariato del Banco; più in generale, vedeva con chiarezza i rischi associati alla concentrazione di potere nelle mani della Banca d’Italia, insieme garante della concorrenza e organo di vigilanza; era sorpreso e amareggiato dal carente dibattito economico su questa anomalia; oggi noterebbe con soddisfazione l’emergere sempre più frequente di interventi qualificati su questo tema.)
Sebastiano meritava più fiducia e più tempo dalla Banca d’Italia. Non gli sono stati dati, non so perché. Sono però convinto che un ruolo importante lo hanno svolto i molti ostacoli posti all’azione di Sebastiano da numerosi gruppi di pressione locali. Chiara espressione di un diffuso “malinteso localismo”, i continui tentativi di interferenza nella gestione della Banca hanno certamente facilitato l’adozione da parte della Vigilanza di un giudizio negativo sulla possibilità di ottenere efficienza preservando l’autonomia.

[Ultimo aggiornamento: 10/09/2012 10:21:34]