Margherita Russo, "La ricerca sul campo si intreccia con la teoria

Economia e Società Regionale
n. 77-78, 2002

Sono passati quasi trenta anni da quell'estate, tra il primo e il secondo anno di università, quando ricevetti una telefonata da Sebastiano Brusco: stava cercando chi tra noi studenti bolognesi della facoltà di Economia di Modena era disposto a dargli una mano per fare delle interviste ai consigli di fabbrica. Il sindacato ci avrebbe pagato poche lire, ma mi sembrò l'occasione per vedere se quello che stavo studiando mi poteva servire per capire il mondo. Paola Mengoli, Paolo Bertossi ed io accettammo senza riserve e ci ritrovammo con altri studenti della facoltà di Economia di Modena, tra cui Paolo Silvestri, a seguire Bastianino nelle interviste di prova. Dovevamo imparare tutto: da come si pongono le domande, a come si ascoltano le risposte, a come si interpretano e a come si normalizza la misurazione di quantità di prodotti che non erano mai entrati nella nostra vita quotidiana, dai titoli dei filati ai molti formati di piastrelle. E Brusco ci insegnava con pazienza tutti i passaggi e i trucchi del mestiere, armato di una risma di fogli bianchi, una matita con la mina tenera e una gomma: con scrittura chiara e regolare segnava i punti rilevanti della discussione, le istruzioni dettagliate per le interviste, i continui rinvii alla letteratura teorica. L'obiettivo specifico della ricerca era la rilevazione delle condizioni di lavoro e della tecnologia in alcuni settori, ceramica e tessile, nella provincia di Reggio Emilia. Il clima informale era esaltante, l'impegno era totale e a tutto campo. La squadra di studenti che collaborò con Brusco era davvero ampia: la rilevazione dei dati all'epoca si faceva "a tappeto", per vari motivi, come ebbe e a spiegare Brusco nell'introduzione al suo saggio sull'industria metalmeccanica a Bergamo: "in qualche modo pareva che i quadri sindacali percepissero la teoria dei campioni come una scienza borghese", ma soprattutto una rilevazione su un campione (ammesso che si fosse riusciti a definire in modo appropriato la popolazione da cui estrarre il campione) non avrebbe mobilitato in modo esteso i consigli di fabbrica sui temi dell'inchiesta. "Inchiesta" e non "indagine" era il termine usato, e nel lessico si sentiva l'influsso della pratica delle inchieste operaie che avevano accompagnato la fase iniziale della rivoluzione culturale cinese; non c'era invece riferimento all'analisi etnografica anglosassone, che Brusco ha praticato in modo assai originale, ma che non era nell'orizzonte dei suoi riferimenti teorici in quegli anni. Nella ricerca sul campo venivano rilevati salari e tecnologia e i riferimenti teorici erano Sraffa, su cui Brusco teneva in quegli anni le sue lezioni a Modena, ma soprattutto Penrose e i lavori del Department of Applied Economics di Cambridge (da quelli di Austin Robinson a quelli di Silberston).
L'intreccio tra tecnologia, produttività, condizioni di lavoro, efficienza diventarono ben presto il terreno fecondo dell'analisi che Brusco ha condotto a tutto campo sull'Emilia: il suo modo di leggere lo sviluppo economico dell'Emilia coglieva l'intreccio tra relazioni sociali e relazioni economiche in un modo originale per almeno due motivi. Il primo riguarda la capacità di guardarsi attorno, di cogliere - nello sviluppo locale - un terreno di sfida per l'analisi teorica che fino a quel momento semplicemente ignorava la dimensione locale dello sviluppo, relegandola a discipline che considerava marginali, come erano allora l'economia regionale o la geografia economica. Il secondo motivo è di metodo: l'analisi dello sviluppo doveva inventare gli strumenti per cogliere appieno l'intreccio tra fattori economici, meccanismi sociali e istituzionali. È l'analisi di quell'intreccio che ci consente di capire perché in un certo luogo, in un certo momento troviamo quelle particolari condizioni economiche, quel livello di ricchezza, quella distribuzione del reddito, quelle istituzioni sociali. E l'analisi a tutto tondo spaziava sui meccanismi che legano attori diversi nella molteplicità di relazioni che attraversano la società; dalle relazioni economiche in agricoltura alla struttura dell'industria manifatturiera, dalla valorizzazione delle risorse ambientali e culturali, alla struttura del sistema formativo, al funzionamento delle amministrazioni locali, delle associazioni di imprenditori e delle associazioni sindacali.
Quando molti anni dopo ci trovammo a Modena a sentire le lezioni di John Padgett sulla social network analysis, la sensazione era che quelle cose le avevamo già scoperte nei venti anni di ricerche sullo sviluppo locale. Ed è proprio nella lettura originale dello sviluppo locale che si colloca il contributo di Sebastiano Brusco sui distretti industriali che, dalla fine degli anni Ottanta, si affiancò alla collaborazione con Giacomo Becattini e con il gruppo di ricercatori fiorentini. Sulla base dei dati censuari, Brusco ha poi condotto l'analisi dei mutamenti della configurazione dello sviluppo locale che è diventata - in un contributo con Sergio Paba - una stimolante chiave di lettura dello sviluppo economico italiano della seconda metà del Novecento.
A vent'anni dalla pubblicazione dell'articolo sul Cambridge Journal - che ha presentato il "modello Emilia" alla comunità scientifica internazionale - si trovano ancora reazioni simili a quelle che - Brusco raccontava - avevano accolto la sua lettura dei processi locali di sviluppo: nella migliore delle ipotesi i distretti industriali venivano ammessi come un fenomeno interessante, ma superato. Negli ultimi venti anni, la babele di tassonomie e modelli che hanno accompagnato la mole di articoli e dibattiti sui distretti industriali non ha ancora trovato il respiro teorico che il tema- dello sviluppo locale richiede.
E sull'analisi teorica vi era la domanda che Brusco aveva sempre mantenuto aperta: come fare i conti con una rappresentazione teorica delle nostre scoperte empiriche? Sporcarsi le mani con i fatti era uno stadio - faticoso, ricco di spunti interpretativi e di dati - ma era solo "uno" stadio della ricerca, quello che consentiva alla teoria di avere le domande "giuste", ma poi la teoria richiedeva gli strumenti "giusti". Il lavoro di ricerca di Brusco ha spaziato su un ventaglio di strumenti: dall'analisi storica (a cui aveva lavorato con Alberto Rinaldi), alla teoria dei giochi (a cui lo avevano introdotto Alberto Cottica e Giovanni Ponti), ai modelli di automi cellulari (uno degli ultimi lavori con Giovanni Solinas, a cui ha lavorato con Tommaso Minerva e Irene Poli). Ma ogni volta ci si trovava di fronte a "pezzi di teoria", pezzi tra cui Brusco coglieva i collegamenti, ma rispetto ai quali ci sottolineava la necessità di andare oltre. E l'andare oltre riguardava la sfida a formulare una teoria più coerente e capace di tener conto delle questioni di fondo che la discussione sui distretti metteva in evidenza: il cambiamento intrinseco nei fenomeni dello sviluppo, la molteplicità di interazioni che attraversano il sistema e che innescano una parte importante della dinamica innovativa, il peculiare meccanismo di coordinamento che rende possibile al sistema di essere efficiente, il ruolo degli attori collettivi nel sostenere i processi di sviluppo.
Ma accanto a questo terreno, squisitamente teorico, l'andare oltre riguardava la necessità di misurarsi con le implicazioni - in termini di politiche - delle considerazioni teoriche sullo sviluppo locale, sul mercato del lavoro, sulla regolazione nelle public utilities, sulla formazione. Un terreno che considerava come un impegno civile, a cui non ci si poteva sottrarre, e sul quale il suo contributo è stato molto ampio, anche se non sempre segnato da successi.
C'è una generazione di ricercatori - economisti, sociologi, storici, matematici, progettisti di politiche pubbliche di sviluppo, architetti, urbanisti - che ha potuto trarre insegnamenti illuminanti dal lavoro di Sebastiano Brusco e penso che dovremmo trovare strumenti adeguati per far avvicinare al lavoro di Sebastiano anche i giovani e gli studiosi che non hanno potuto conoscerlo direttamente. In questa direzione va il progetto di raccolta e diffusione dei suoi lavori scientifici attraverso le pagine web, a lui dedicate, nel sito internet della facoltà di Economia di Modena: mi auguro che in questo modo sarà possibile avere accesso diretto alla documentazione dei suoi contributi su una molteplicità di temi, che solo pochi conoscono in modo completo. Sarà quella un'occasione per avviare la riflessione anche su alcuni progetti interrotti: primo fra tutti il volume sulle politiche per lo sviluppo locale che - insieme ai suoi molti collaboratori - aveva preparato a metà degli anni Novanta; ma attraverso il sito internet si potrà forse anche divulgare l'edizione inglese dei suoi scritti pubblicati in italiano nel 1989. Come ha ricordato Nando Vianello, le introduzioni - che Brusco preparò per i saggi raccolti in quel volume - tracciano un quadro assai stimolante del percorso di ricerca di un economista che sapeva guardare il mondo, oltre gli steccati disciplinari, oltre le convenzioni accademiche.

[Ultimo aggiornamento: 10/09/2012 10:22:23]