Sergio Russo, "L'architetto e l'economista"

Sardinews
febbraio 2002

Gli inizi non sono stati facili. Un architetto, per un economista, non dovrebbe occuparsi di banca. d io ho conosciuto Sebastiano al Banco di Sardegna, quindi in ma condizione disuguale. stato molto diretto da subito, incurante di sembrare scortese .che ci faccio con uno come te nell'esecutivo? E'meglio un mprenditore!), ma anche generoso (hai avuto una bellissima dea) e tenace come pochi. e prime riunioni di consiglio di amministrazione sono state elativamente semplici, eravamo tutti, chi più chi meno, in una ondizione di difficoltà nell'affrontare l'esplorazione sullo tato del Banco. oi l'impegno si è fatto più pressante, le riunioni più frequenti la conoscenza più diretta. ono caduti i pre?giudizi e sono emersi i tratti essenziali della ersonalità, quelli che contraddistinguono gli uomini rendendoli mici e, a volte, li fanno incontrare ed entrare in sintonia anche
partendo da condizioni disuguali. on sono in grado di valutare l'opera scientifica di Sebastiano, na so per certo di aver scoperto un uomo di una ricchezza nteriore e di una forza d'animo insospettabili. Siamo diventati mici, con il disinteresse, la stima e l'affetto che sono proprie dell'amicizia lo scoperto, con il tempo, la sua disponibilità infinita ( a olte quasi eccessiva) ad ascoltare le opinioni degli altri senza tervenire e ho apprezzato la capacità di cambiare opinione, dopo aver ascoltato e anche di ammettere i propri errori. biamo cominciato a sentirci e a incontrarci anche al di fuori elle riunioni del Banco, per il piacere di discutere, di tutto, dalla ttualità alla politica, dalla architettura alla pittura. ,a sua cultura e la sua vivacità non avevano limiti, così come la apacità di cogliere l'essenza di ogni questione. lo impiegato dei mesi per scoprire che era un trapiantato di uore e mai, davvero mai, ho sentito da lui la benché minima reoccupazione per le sue condizioni di salute. er Sebastiano il corpo, e i suoi malanni, non erano un limite. Al iù, ogni tanto, una seccatura. Sorrideva con ironia delle venti astiglie che doveva prendere ogni giorno. Mi mostrava con aria omplice il foglio dove aveva annotato i nomi delle medicine e li orari per ciascuna (guarda, dottà, che devo fare). Viveva il resente con la passione di chi si sente nel mezzo delle battaglie ci si diverte e vedeva il futuro come una dimensione aperta, da empire di progetti e di impegni. entiva di aver ricevuto in dono un'altra vita, avendo sfiorato la sorte e, forse per questo, si sentiva intoccabile. uando l'ho chiamato, per gli auguri di Natale, mi ha detto, ?a le tante cose di una lunghissima conversazione (come sempre con lui) che doveva combattere una nuova battaglia entro i suoi mali. embrava più preoccupato per le difficoltà dei medici (devono sere così bravi da curarmi, senza debilitarmi troppo, per via 1 cuore) che per la sua malattia (che vuoi, è peggio quando non li ancora di che si tratta, ora lo so e gioco la partita)redeva, o voleva credere, di poter vincere, ancora una volta.
Mi è sembrato eroico. Glielo ho detto e mi ha risposto, con un sorriso, che l'importante è sapere qual è il nemico, poi si combatte
e basta.
Più che a se stesso sembrava interessato ai miei progetti, alle ultime cose che ho fatto e a una nuova idea di edilizia industriale. Voleva sapere, capire. Aveva l'affetto di sempre e l'urgenza di dimostrarlo in ogni modo, con un diminutivo (ciao, Sergiolino, come ti va?), con un impegno (appena posso vengo e andiamo a cena), con la curiosità di sempre (mandami il tuo progetto perché voglio guardarlo e scriverti cosa ne penso).
Mi ha colpito, della cerimonia funebre, a Modena, il profondo affetto con il quale lo hanno ricordato e onorato in tanti, dai colleghi agli alunni, dal sindaco al rettore, dal sindacalista a un collega, padre naturale dei suoi figli, che ha voluto ricordare come sua figlia, presentando entrambe a un amico, abbia detto di loro: questo è mio padre, e poi, indicando Bastianino con un sorriso,
e questo pure.
Ho riconosciuto in quelle persone e nel loro legame con lui il filo comune della sua personalità e la sua straordinaria grandezza. Esprimevano, tutti, emozioni vere, profonde, composte ma non formali. E non ci si guadagna tanto amore, per giunta fuori dalla propria terra, se non si hanno qualità, se non si possiede la dote innata di riconoscere, nel corso della vita, l'essenza delle cose e dei rapporti importanti e non si sa comunicarlo istintivamente agli altri.
Una bella vita finita troppo presto. Si dice spesso e di molti.
Ma questa volta è vero.

[Ultimo aggiornamento: 10/09/2012 10:22:04]